Le principali fonti dell’inquinamento idrico derivano dall’attività antropica e in particolare dalle attività industriali, nell’ambito delle quali vengono spesso scaricate nei corpi superficiali sostanze chimiche di processo nocive per l’ambiente e la salute umana.
Per questo motivo la regolamentazione degli scarichi e il corretto trattamento delle acque reflue, di provenienza sia domestica che industriale, rappresentano il primo strumento di tutela ambientale dei corpi recettori (acque superficiali, suolo, sottosuolo e rete fognaria).
Ma cos’è uno scarico?
Come da definizione riportata all’art. 74 del D.lgs. 152/06, per “scarico” si intende qualsiasi immissione di acque reflue, effettuata esclusivamente tramite un sistema di collettamento, che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo recettore, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione.
La mancanza di una sola delle condizioni evidenziate (sussistenza di un sistema di collettamento e collegamento senza soluzione di continuità fra il ciclo produttivo e il corpo recettore) comporta l’applicazione della disciplina sui rifiuti (liquidi).
In argomento, merita interesse la recente Sentenza 5 maggio 2021, n. 17178, nella quale la Corte di Cassazione Penale, ha affermato che costituisce gestione illecita di rifiuti ex art. 256 D.lgs. 152/2006 – e non scarico illecito di acque reflue (art. 137) – lo sversamento di reflui industriali in una vasca senza autorizzazione, in assenza di scarico in corpo recettore.
Nel caso in esame i giudici hanno confermato il sequestro nei confronti del titolare di un autolavaggio di una vasca interrata contenente acque reflue proveniente dai lavaggi in quanto ai fini della sussistenza dello scarico è necessaria la realizzazione di un contatto fisico tra il refluo ed il corpo ricettore.
A seconda della provenienza, gli scarichi si possono classificare in:
Il Testo Unico Ambientale definisce le “acque reflue industriali” come “qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diversi dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento” (art. 74, comma 1, lett. h del D.lgs. 152/06).
Gli edifici o impianti in cui si svolgono attività commerciali o industriali sono, invece, definiti come “qualsiasi stabilimento nel quale si svolgono attività commerciali o industriali che comportano la produzione, la trasformazione ovvero l’utilizzazione delle sostanze di cui alla tabella 3 dell’allegato 5, ovvero qualsiasi altro processo produttivo che comporti la presenza di tali sostanze nello scarico”.
Sostanzialmente, la contaminazione delle acque con le sostanze di cui alla tabella 3, tipiche delle lavorazioni industriali, ne esclude la natura domestica.
Ad esempio, sono da ritenersi comprese nella definizione di “acque reflue industriali” le acque di raffreddamento, le quali pur non essendo espressamente citate nel D.lgs. 152/2006, si qualificano per loro natura come acque di processo in quanto diverse dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento.
In merito alle acque reflue derivanti, invece, da attività di servizi, la giurisprudenza è costante nell’affermare che rientrano nella nozione di acque reflue industriali tutti i tipi di acque derivanti dallo svolgimento di attività produttive, compresi i reflui che non attengono prevalentemente al metabolismo umano ed alle attività domestiche, né si configurano come acque meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali quelle piovane, anche se venute in contatto con sostanze o con materiali.
Di conseguenza, si definiscono scarichi industriali, oltre ai reflui provenienti da attività di produzione industriale vera e propria, anche quelli provenienti da insediamenti ove si svolgono attività artigianali e di prestazioni di servizi, quando le caratteristiche qualitative degli stessi siano diverse da quelle delle acque domestiche (da ultimo V. Sentenza della Cassazione penale, III Sez. del 9 novembre 2018, n. 51006).
Ai sensi dell’art. 124 del D.lgs. 152/06 tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati dall’Autorità competente in quanto disciplinati in funzione dei valori limite previsti dall’Allegato 5 alla Parte III del D.lgs. 152/2006 e degli obiettivi di qualità dei corpi recettori. I valori limite sono indicati in tabelle differenziate, contenute in detto allegato, a seconda della tipologia di scarico e del corpo recettore.
Sotto il profilo sanzionatorio, lo scarico abusivo di acque reflue industriali, ossia lo scarico privo di autorizzazione o in violazione del sistema autorizzatorio costituisce un illecito penale, sanzionato ai sensi dell’art. 137 del D.lgs. 152/06.
Nello specifico, chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con l'arresto da due mesi a due anni o con l'ammenda da millecinquecento euro a diecimila euro, a meno che l’esercizio degli scarichi non rientri nell’ambito di applicazione dell’Autorizzazione Integrata Ambientale. In quest’ultima ipotesi si deve applicare la sanzione di cui all’art. 29-quattuordecies, comma 1.
Costituisce aggravante lo scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose ricadenti nelle tabelle 5 e 3/A dell'Allegato 5 alla parte terza del D.lgs. 152/06, la pena è dell'arresto da tre mesi a tre anni e dell'ammenda da 5.000 euro a 52.000 euro.
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