Il rischio chimico rappresenta con certezza una delle fonti di pericolo più diffuse sui luoghi di lavoro e, in molti casi, difficile da ponderare e valutare. Analizzando gli scenari lavorativi sul territorio, lo si può considerare un rischio ubiquitario.
Risulta quindi evidente l'importanza di effettuare una corretta valutazione del rischio chimico per la sicurezza e la salute dei soggetti coinvolti.
Registri internazionali ed europei come il CAS (Chemical Abstract Service) o l’EINECS (European Inventory of Existing Commercial Chemical Substances), enumerano centinaia di migliaia sostanze utilizzate a scopo commerciale, e milioni di sostanze (siano elementi o composti). Va inoltre sottolineato come, nella comune pratica, molte sostanze vengano utilizzate come preparati o miscugli, rendendo lo scenario valutativo ancora più complesso.
Il D. Lgs. 81/08 e ss.mm.ii. tratta approfonditamente la materia del rischio chimico al Titolo IX – Capo I, “Sostanze Pericolose – Protezione da Agenti chimici” definendo in modo inequivocabile l’agente chimico (sia questo pericoloso o no) e l’iter propedeutico alla valutazione del rischio.
Gli agenti chimici sono definiti come “… tutti gli elementi, composti chimici, sia da soli sia nei loro miscugli, […] siano essi prodotti intenzionalmente o no […]” (art. 222, c.1, D.Lgs. 81/08). L’indagine prevede preliminarmente la determinazione della loro presenza negli ambienti di lavoro e la valutazione delle proprietà pericolose, delle informazioni in relazione a salute e sicurezza, del livello, modo e durata dell’esposizione, ecc. siano questi considerati singolarmente o combinati, attraverso un attento studio delle Schede di Sicurezza… Ma non solo!
Molto spesso la valutazione si ferma a questa analisi documentale, trascurando aspetti determinanti legati alla lavorazione ed al ciclo produttivo in cui le sostanze sono utilizzate. Basti pensare a processi che coinvolgono riscaldamenti o altri trattamenti che possono degradare o trasformare le stesse, con risultato la produzione di intermedi o sottoprodotti i cui effetti possono essere pericolosi per la salute dei lavoratori e provocare insorgenza di malattie professionali nel lungo periodo (rischio per la salute), oppure danni di tipo immediato, infortuni (rischio per la sicurezza).
Inoltre, tutti gli aspetti legati alla reattività, ed alla compatibilità sull’utilizzo di certe sostanze in particolari condizioni, merita altrettanta attenzione al fine di evitare potenziali sorgenti di pericolo e di incidenti.
La normativa di riferimento è trasversale, ed oltre al Testo Unico sulla Sicurezza, particolare attenzione va data al Regolamento CE n.1272/2008 (Sistema armonizzato per la Classificazione ed etichettatura delle sostanze pericolose) ed al Regolamento CE 1907/2006 (Registrazione, Valutazione, Autorizzazione e Restrizione delle sostanze chimiche), meglio noti come sistema CLP-GHS e Regolamento REACH, rispettivamente.
Il rischio da esposizione ad agenti chimici pericolosi è, al momento, l’unico per il quale la norma richiede esplicitamente una valutazione preventiva (art.223, c.1, D.lgs. 81/08), dalla quale discenderà sia l’attrezzamento aziendale, quanto la definizione del layout organizzativo.
Se, a seguito di ciò, il rischio chimico per la sicurezza permane non basso e per la salute non irrilevante, si procede alla definizione di idonee misure di protezione e prevenzione, alla determinazione di disposizioni in caso di emergenze, ad una adeguata sorveglianza sanitaria dei lavoratori, alla predisposizione di cartelle sanitarie di rischio.
Le informazioni legate alla sostanza o alla miscela si possono ricavare dalle Schede di Sicurezza, SdS, (disciplinate dall’art. 31 del Regolamento REACH, e dal Regolamento n.453/10 che modifica l’Allegato II del REACH stesso) nei loro 16 punti. La SdS deve essere a disposizione nella lingua del paese dove la sostanza viene utilizzata, e qualora sia previsto il Rapporto sulla Sicurezza Chimica (CSR, Chemical Safety Report, con riferimento al Reg. REACH), DEVE essere corredata degli scenari di esposizione.
Ai fini della valutazione diventa fondamentale:
Qualora quest’ultimo risulti non basso e/o non irrilevante, il datore di lavoro ha l’obbligo della misura per attestare la concentrazione nell’ambiente di lavoro degli agenti pericolosi rispetto ai VLEP (Valori Limite di Esposizione Professionale). Le metodiche con cui svolgere le misurazioni sono riportate nell’Allegato XLI del D.Lgs. 81/08 e ss.mm.ii. ed il riferimento sono le norme armonizzate UNI-EN della famiglia “Atmosfere in ambienti di lavoro” (tra cui la ben nota UNI EN 689:2019, per la misura dell’esposizione per via inalatoria). Il datore di lavoro effettua le misure al fine di dimostrare il rispetto dei VLEP, per verificare l’adeguatezza nel tempo delle misure di protezione e prevenzione in atto, e per controllare periodicamente il livello di esposizione.
La valutazione del rischio va aggiornata periodicamente e, comunque, ogni qualvolta si verifichino modifiche importanti a livello operativo o organizzativo che ne possano comportare la sua variazione.