Il cellulare è un dispositivo ormai essenziale per tutti, nella vita personale e sul lavoro. Le funzionalità dello smartphone sono talmente tante che non è possibile farne a meno in ogni momento della giornata: dall’intrattenimento alla comunicazione telefonica, dai pagamenti al monitoraggio dell’attività sportiva, dalle ricette mediche fino alle e-mail.
Con lo smartphone si è anche assottigliata la linea di confine tra le comunicazioni private e professionali. Capita in tutte le aziende di gestire colleghi, fornitori o clienti via telefono o whatsapp.
E non solo. Grazie a questo strumento, ogni lavoratore ha la tranquillità di rimanere in contatto con l’esterno, ad esempio con la propria famiglia, anche quando si trova in azienda, perché il cellulare personale è il contatto più rapido in caso di emergenza.
Lo scenario quotidiano, che vede ognuno di noi in costante connessione, solleva però diverse questioni di rilievo per le aziende, che spaziano dalla protezione dei dati personali e sensibili durante le interazioni con gli altri (concernenti sicurezza informatica e privacy), alla tutela dei lavoratori che devono avere la possibilità di disconnettersi una volta terminato l'orario di lavoro (come abbiamo trattato in precedenza riguardo al tecnostress).
Per affrontare la situazione, le aziende possono adottare alcune misure. Innanzitutto, possono dotare i propri collaboratori di telefono aziendale in modo tale da mantenere separati l’ambito professionale e quello personale. Altre politiche possono includere indicazioni sulle modalità di comunicazione preferite, l'uso di account aziendali per le e-mail di lavoro e la scelta di strumenti per chat e videochiamate tra colleghi che si possono utilizzare sia dal pc che dallo smartphone.
In questo modo il ricorso al cellulare privato è più limitato.
Tuttavia, in questo articolo desideriamo focalizzarci su un ulteriore aspetto: il collegamento tra l'uso del cellulare sul posto di lavoro (sia esso personale o aziendale) e i potenziali rischi per la salute e la sicurezza.
Negli ambienti lavorativi si sente sempre più spesso parlare del fenomeno del Phubbing.
Il termine "phubbing" indica la combinazione delle parole "phone" (telefono) e "snubbing" (snobbare). Si riferisce all'atto di ignorare o trascurare le persone presenti fisicamente intorno a noi a causa del nostro utilizzo eccessivo o iperfocalizzato del cellulare.
Il phubbing si verifica quando siamo così concentrati sui nostri telefoni che ignoriamo o non diamo importanza alle persone con cui siamo fisicamente presenti. Questo comportamento può causare sentimenti di isolamento, mancanza di relazioni vere e solitudine.
Il phubbing può avvenire in diverse situazioni sociali, ad esempio durante una cena tra amici o familiari, durante una conversazione con il proprio partner, un incontro di lavoro o durante una riunione. È diventato un fenomeno sempre più comune e l’ambito aziendale non è escluso.
In generale, il phubbing è considerato un comportamento poco rispettoso e poco empatico verso gli altri ma in ambito lavorativo può trasformarsi anche in qualcosa di peggio: pensiamo, ad esempio, a un operatore che non risponda tempestivamente a un allarme perché distratto dal telefono.
Diversi studi online suggeriscono che le persone consultano il cellulare dalle 80 alle 150 volte in un solo giorno. È evidente l’importanza di trovare un equilibrio tra l'uso delle tecnologie e le relazioni personali per evitare di cadere nel phubbing e promuovere il rispetto e l'attenzione reciproca nelle interazioni sociali, ma anche trovare un giusto equilibrio in ambito aziendale.
Di per sé no, ma dipende dai casi.
Per il resto dei casi, non ci sono indicazioni univoche a livello di contratti nazionali.
Inoltre, la giurisprudenza evidenzia come il semplice utilizzo momentaneo (una breve telefonata a casa o la lettura veloce di una notizia online) non può costituire una causa di licenziamento, così come la sbirciatina al cellulare di tanto in tanto per verificare la presenza di messaggi o di chiamate urgenti.
Tuttavia, anche queste considerazioni possono non valere per tutte le categorie di lavoratori. Bisogna infatti effettuare una valutazione sulla base delle mansioni affidate all’operatore: se un autotrasportatore si distrae al cellulare è un comportamento di una certa serietà e pericolosità; molto meno invece se la stessa condotta la pone in essere un impiegato davanti al proprio computer. Altro esempio molto attuale: sarebbe impossibile vietare l’uso prolungato dei social network a un addetto alla comunicazione aziendale perché si andrebbe a togliergli uno strumento di lavoro.
A partire dal d.lgs. n. 626/1994 e a seguire nel d.lgs. 81/08 l'ordinamento giuridico italiano prevede la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e indica che questa è fondata innanzitutto su una corretta e completa valutazione dei rischi lavorativi. Tutto dipende dal luogo di lavoro e dalle mansioni dell’operatore.
Il cellulare potrebbe essere considerato potenziale fattore di rischio lavorativo per due motivi:
1) La valutazione del rischio legato all’esposizione onde elettromagnetiche (in via prudenziale, perché non ci sono evidenze scientifiche); in questo caso basterebbe dotare di dispositivi come cuffiette o auricolari il personale che deve effettuare molte telefonate.
2) La valutazione del rischio legato alla distrazione che può essere determinata dall'uso del cellulare rispetto ai compiti da svolgere.
Rispetto, quindi, all'eventualità che il cellulare possa costituire un elemento di distrazione per il lavoratore va sottolineato come il rischio sia particolarmente insidioso in relazione a mansioni che richiedono la massima attenzione per il lavoratore, ad esempio nel caso in cui la mancata attuazione delle disposizioni aziendali esponga il lavoratore e/o i suoi colleghi a un concreto pericolo.
In questi casi può rivelarsi utile predisporre un regolamento interno o una procedura specifica in cui viene vietato l’uso del cellulare in reparti aziendali caratterizzati da un rischio di infortunio elevato in cui gli operatori non possono assolutamente essere distratti dalle telefonate o dalle chat.
Concludendo, l’uso del cellulare al lavoro non è da condannare in senso generale. Va valutato con attenzione il fenomeno del phubbing, in cui per definizione l’uso del cellulare è continuo. Se il lavoratore non può fare a meno di utilizzare il cellulare tutto il giorno perché rientra nelle sue mansioni va tutelato rispetto all’esposizione a potenziali rischi, tra i quali il tecnostress. Se invece l’azienda vuole tutelarsi rispetto alle possibili distrazioni che derivano dal lavoratore che usa continuamente lo smartphone, può valutare di redigere regolamenti interni, definendo politiche chiare per tutti.
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