Abbiamo affermato in molte occasioni che l’evoluzione tecnologica procede a velocità maggiori delle norme, in qualsiasi settore. A maggior ragione nel settore dei lavori digitali e delle piattaforme digitali, professioni emergenti che hanno la peculiarità di essere fluide e flessibili ma difficilmente inquadrabili nei parametri delle professioni tradizionali. D’altro canto, i lavoratori delle piattaforme digitali sono in aumento e le normative devono urgentemente adeguarsi per permettere a tutti di lavorare in sicurezza.
Per inquadrare questo nuovo settore, nell’ottica di farne emergere eventuali criticità legate alla sicurezza e risolverle, dobbiamo prima entrare in confidenza con alcune definizioni che descrivono il mondo del lavoro legato alle piattaforme digitali.
In informatica, le piattaforme digitali sono infrastrutture informatiche in grado di connettere sistemi tecnologici eterogenei con interfacce facili e intuitive.
Solitamente, quando si pensa ai lavoratori di piattaforme digitali si pensa ai rider che consegnano a domicilio alimenti o altri prodotti provenienti dall’acquisto virtuale, ma oltre a queste figure professionali ci sono piattaforme per le traduzioni di testi, per l’aiuto con i compiti online, di sviluppo software, riconoscimento ed elaborazione di immagini eccetera.
Quando si parla di piattaforme digitali, quindi, non pensiamo solo ai rider ma a una costellazione di lavori comunemente chiamata Gig Economy.
Il quotidiano economico Italia Oggi definisce Gig economy “la cosiddetta economia dei lavoretti, quel sistema economico che non si basa su un posto stabile con un contratto ben delineato, tipico dei lavoratori dipendenti e del lavoro subordinato, ma su un lavoro occasionale e temporaneo, a chiamata”.
Dalla ricerca “Lavoro virtuale nel mondo reale: i dati dell’Indagine Inapp-Plus sui lavoratori delle piattaforme in Italia” pubblicata sullo stesso quotidiano, emerge che i platform worker o lavoratori delle piattaforme digitali nel 2020/2021 erano 570.521 solo in Italia, ma con i lavoratori autonomi/ freelance il conteggio stimato è di circa 5 milioni di lavoratori digitali in Europa.
Vista la tipologia di lavoro, il lavoratore “tipo” della piattaforma digitale è solitamente giovane, compreso tra i 18 e i 29 anni, oppure, nel 59% dei casi, l’attività è una seconda professione che viene affiancata alla principale, per integrare le entrate del bilancio familiare.
Come molte attività occasionali dei settori tradizionali, il lavoro tramite piattaforma digitale ha i riflettori accesi poiché si presta a condizioni di ridotta autonomia e a sospetti di rapporti irregolari, se non addirittura fenomeni di “caporalato”.
Secondo la ricerca europea riportata da Italia Oggi, 3 lavoratori su 10 non hanno un contratto scritto, che il 26% dei lavoratori non gestisce direttamente l’account di lavoro per accedere alla piattaforma e nel 13% dei casi il pagamento viene gestito da un ulteriore soggetto esterno.
Tutte queste premesse descrittive per spiegare che l’EU-OSHA, Agenzia d'informazione dell'Unione europea in materia di sicurezza e salute sul lavoro, ha puntato i riflettori su questo tema a livello europeo.
La classificazione dei rischi, come è facile intuire, varia a seconda del tipo di lavoro su piattaforma: si va dal sollevamento di carichi di vario genere, anche pesanti, al lavoro in posizioni disagevoli, fino alla gestione delle aggressioni verbali, al bullismo e alle molestie sui Social; infine, alcuni altri rischi derivano dai lunghi turni di lavoro senza una regolamentazione degli orari.
L’UE ha già specificato una serie di rischi comuni associati alla salute e alla sicurezza dei lavoratori delle piattaforme digitali:
Un ulteriore complessità sui fronti della prevenzione e della gestione dei rischi è data, in base a quanto evidenziato dalla ricerca condotta a livello europeo, dai lavoratori delle piattaforme digitali classificati come “autonomi” che sono fuori dalla tutela delle piattaforme ai sensi della normativa dell’UE o degli Stati membri in materia SSL.
Come ben si comprende, la situazione è in evoluzione e l’Europa sta cercando di far luce sull’ “invisibilità” di queste tipologie di lavoratori. Cosa può fare subito un’azienda che impiega i lavoratori di piattaforme digitali?
Strutturare un percorso partendo da:
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