17 obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile articolati in 169 traguardi: questa è l’Agenda 2030 sottoscritta da 193 Stati aderenti all’ONU, che vede impegnate in prima linea le aziende come porta bandiera di questa ambiziosa ma quanto mai necessaria missione.
Alcuni di questi obiettivi hanno carattere prettamente umanitario, altri invece (la maggioranza) puntano a migliorare le condizioni di vita dell’uomo e dell’ambiente, agendo sulla riduzione dell’inquinamento, degli sprechi alimentari, la lotta contro il cambiamento climatico, sull’ottimizzazione delle risorse naturali del pianeta. Nel presente articolo focalizzeremo l’attenzione in particolare sull’obiettivo n. 12, strettamente correlato ai più recenti principi dell’economia circolare.
Persone, Pianeta, Prosperità, Pace, Collaborazione; queste sono le macro-aree su cui l’ONU vuole intervenire entro il 2030 con i 17 obiettivi del suo programma d’azione:
Con l’obiettivo 12 l’ONU chiede agli Stati aderenti l’adozione di “modelli sostenibili di produzione e di consumo”. È evidente, pertanto, l'importanza che assumono le imprese, il cui ruolo va rivisto in funzione della necessità di garantire la sostenibilità nella sua triplice dimensione: sociale, economica ed ambientale. È altrettanto necessario che il cambiamento avvenga durante la fase del consumo, orientando i cittadini-consumatori verso comportamenti e scelte d’acquisto più sostenibili, offrendo loro adeguate informazioni sugli standard ed etichette dei prodotti.
Nel modello d’azione disegnato dall’ONU, il raggiungimento di questo obiettivo è subordinato all’attuazione di specifiche azioni. Fra queste, si citano:
Ancora una volta, quindi, torna ad essere centrale il modo in cui le aziende gestiscono i propri rifiuti e più in generale gli scarti di produzione.
Queste ultime azioni, in particolare la seconda, costituiscono anche gli obiettivi fondamentali della politica ambientale comunitaria. Infatti, la Direttiva europea sui rifiuti (Direttiva CE 2008/98) impone ai governi degli Stati membri il rispetto di un preciso modello d’azione per la gestione dei rifiuti, la c.d. gerarchia dei rifiuti, caratterizzato da cinque fasi, ordinate in senso gerarchico:
1) prevenzione;
2) preparazione per il riutilizzo;
3) riciclaggio;
4) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e
5) smaltimento.
Idealmente la gerarchia dei rifiuti va letta in questo senso: in primo luogo c’è la prevenzione; qualora non sia possibile la mera prevenzione, i rifiuti devono essere riutilizzati, riciclati e recuperati, nell’ordine, ove ciò risulti fattibile, mentre lo smaltimento in discarica deve essere il più possibile limitato.
La scelta del legislatore europeo di collocare la prevenzione al primo stadio della gerarchia dei rifiuti è indicativa dell’importanza attribuitagli.
La prevenzione consiste, infatti, in una serie di azioni volte a ridurre quantitativamente i rifiuti e a limitarne gli effetti negativi sull’ambiente.
Il Legislatore europeo individua tre momenti nei quali può applicarsi la prevenzione: il primo momento riguarda la fase a monte del processo produttivo; il secondo durante il processo produttivo; il terzo coincidente con la fase finale del consumo e dell’utilizzo dei prodotti.
Nell’ambito di tali misure, gli Stati membri dovrebbero dapprima favorire modelli di produzione che riducano la presenza di sostanze pericolose nei materiali e nei prodotti e favoriscano l’estensione del ciclo di vita degli stessi attraverso sistemi di progettazione ecocompatibile (c.d. ecodesign).
I prodotti ottenuti devono essere durevoli, riparabili e riutilizzabili.
Sempre in quest’iniziale fase di pianificazione, allo scopo di consentire il riutilizzo e la riparazione dei beni, gli Stati membri dovrebbero, inoltre, incentivare la creazione di circuiti di raccolta di prodotti a fine vita anche attraverso sistemi di cauzione-rimborso e di riconsegna-ricarica.
Per contrastare la sempre più scarsa disponibilità di materie prime la normativa raccomanda che i residui della lavorazione, che si creano durante il processo di produzione, vengano riutilizzati il più possibile durante il ciclo stesso per evitare che gli scarti si trasformino in rifiuti. Da questo punto di vista, una delle applicazioni più evidenti del principio di prevenzione è la nozione di sottoprodotto, definita nella Direttiva citata e recepita nell’art. 184-bis del D.lgs. 152/06.
Nello stadio finale del consumo, quello in cui il prodotto diventa un rifiuto, la prevenzione si esplica mediante il ricorso ad operazioni di recupero che trasformano il rifiuto in una nuova materia prima (c.d. processi “end of waste”).
Per concludere, il pieno rispetto della gerarchia dei rifiuti da parte delle istituzioni ed in particolare delle imprese induce a realizzare quell’economia a ciclo chiuso a cui l’Agenda 2030 e la politica europea sono tese. Leggi qualche approfondimento dal nostro Blog:
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