La gestione dei rifiuti in azienda continua ad essere un tema ampiamente e caldamente dibattuto. Il Decreto legislativo n. 116 del 2020, ridefinendo i criteri di classificazione dei rifiuti, fra urbani e speciali, ha generato alcuni dubbi circa l’effettiva gestione degli stessi da parte delle aziende, o più in generale delle utenze non domestiche.
Uno dei punti cruciali riguarda proprio la scelta dell’operatore economico a cui affidare il recupero dei rifiuti aziendali di natura urbana. Facciamo un po’ di chiarezza in merito.
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Normativa Gestione Rifiuti Urbani
Rifiuti Urbani Definizione
L’art. 183, comma 1, lettera b-ter del D.lgs. 152/2006, come modificato dal Decreto 116/2020, include nel novero dei rifiuti urbani, accanto ai rifiuti domestici e agli altri rifiuti elencati dalla norma, anche i “rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell’allegato L-quater e prodotti dalle attività riportate nell’allegato L-quinquies” ad esclusione dei “rifiuti derivanti da attività agricole e connesse di cui all’art. 2135 c.c.”
Rifiuti assimilabili agli urbani
Occorre precisare che le attività non elencate nell’allegato L-quinquies, ma che sono simili per natura e tipologia di rifiuti prodotti a quelle espressamente menzionate in detto elenco, si considerano comprese nel punto a cui sono analoghe.
Rifiuti aziendali speciali o urbani?
Restano comunque escluse dalle attività di cui all’Allegato L-quinquies le “Attività industriali con capannoni di produzione”.
Ciò potrebbe condurre alla conclusione che queste attività diano luogo solo alla produzione di rifiuti speciali. Tuttavia, l'art. 184, comma 3, lettera c) del D.lgs. 152/2006 definisce "speciali" i rifiuti delle lavorazioni industriali, se diversi dai rifiuti urbani, per cui appare evidente che le attività industriali siano suscettibili di produrre sia rifiuti urbani che speciali.
Infatti, come chiarito dal Ministero della Transizione Ecologica nella Circolare n. 35259 del 12 aprile 2021 “le superfici dove avviene la lavorazione industriale sono escluse dall'applicazione dei prelievi sui rifiuti, compresi i magazzini di materie prime, di merci e di prodotti finiti […] continuano, invece, ad applicarsi i prelievi sui rifiuti, sia per la quota fissa che variabile, relativamente alle superfici produttive di rifiuti urbani, come ad esempio, mense, uffici o locali funzionalmente connessi alle stesse”.
Sempre il Dicastero afferma che: “Considerazioni analoghe a quelle svolte con riferimento ai rifiuti derivanti dalle attività industriali si estendono anche alle attività artigianali indicate nel predetto art. 184, comma 3, lett. d), del TUA”.
Con la contestuale abrogazione del potere, in capo ai Comuni, di regolamentare l’assimilazione, per quantità e qualità, dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, il Legislatore ha quindi operato una classificazione uniforme su tutto il territorio nazionale.
Il D.lgs. 116/2020, con l’introduzione del comma 2-bis all’art. 189 del D.lgs. 152/2006, ha inoltre disposto la possibilità per le utenze non domestiche, di conferire i propri rifiuti urbani al di fuori del servizio pubblico.
Per approfondire, leggi dal blog anche:
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Recupero rifiuti urbani per utenze non domestiche
Compresa la nuova definizione di rifiuti urbani, quali alternative si prospettano alle utenze non domestiche? Ecco cosa prevede la normativa:
- “Possono conferire al di fuori del servizio pubblico i propri rifiuti urbani previa dimostrazione di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei rifiuti stessi.” (Art. 189, comma 2-bis, D.lgs. 152/2006).
- “Le utenze non domestiche che producono rifiuti urbani e che li conferiscono al di fuori del servizio pubblico sono escluse dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti”, ossia la cosiddetta quota variabile della TARI, restando invece impregiudicato il versamento della quota fissa (Art. 238, comma 10, D.lgs. 152/2006).
- “Le utenze effettuano la scelta di servirsi del gestore del servizio pubblico o del ricorso al mercato per un periodo non inferiore a cinque anni, salva la possibilità per il gestore del servizio pubblico, dietro richiesta dell'utenza non domestica, di riprendere l'erogazione del servizio anche prima della scadenza quinquennale.” (Art. 238, comma 10, D.lgs. 152/2006).
Pertanto, le utenze non domestiche possono scegliere di conferire i propri rifiuti urbani ad operatori privati (ottenendo così l’esenzione dal pagamento della quota variabile), ma il conferimento deve essere dimostrato e deve valere per un periodo di almeno cinque anni (quest’ultima previsione consente al gestore del servizio pubblico di organizzarsi anticipatamente per garantire un servizio di raccolta stabile e continuativo).
- La comunicazione, relativa alla scelta di affidarsi a un gestore alternativo a quello del servizio pubblico, deve essere trasmessa al Comune territorialmente competente entro il 31 maggio di ciascun anno (come disposto dall’art. 30 co. 5 del D.L. n. 41 del 2020) e deve indicare le tipologie e quantità dei rifiuti da avviare al recupero, assumendo valenza a partire dall’anno successivo a quello della comunicazione stessa.
- In mancanza di comunicazione, il Comune può ritenere confermata la volontà, in capo al produttore di rifiuti, di mantenere il servizio pubblico con conseguente applicazione della TARI. A scanso di equivoci, la Circolare ministeriale raccomanda comunque l’invio di una formale comunicazione in entrambi i casi, anche per confermare il servizio pubblico.
Maggiori dettagli riguardo la determinazione della tariffa TARI sono contenuti nella già citata Circolare ministeriale n. 35259 del 12 aprile 2021.
Gestione rifiuti urbani: uscire dal servizio pubblico?
La scelta dell’operatore a cui conferire i propri rifiuti urbani è tutt’altro che scontata: a seconda dei casi può risultare più conveniente mantenere l’affidamento al gestore del servizio pubblico oppure rivolgersi ad un altro operatore. In quest’ultima ipotesi, al produttore dei rifiuti compete, in aggiunta, un’attenta valutazione dei fornitori privati, operanti sul mercato locale, in ossequio al principio di prossimità dettato dalla norma.
La convenienza tra le due alternative va valutata sia in termini economici che gestionali. In primo luogo, è opportuno effettuare un confronto tra il costo del servizio privato e la quota variabile della TARI. In secondo luogo, occorre comparare i servizi offerti in base alle specifiche esigenze aziendali (metodologie, tempi e volumi). La frequenza dei prelievi offerta potrebbe, ad esempio, non essere adeguata ai ritmi di produzione dei rifiuti urbani con conseguenti ricadute sulla gestione del deposito temporaneo.
Fra i vantaggi gestionali da considerare, si evidenzia inoltre l’opportunità per l’azienda di rivolgersi ad un unico “interlocutore” qualora la stessa decidesse di estendere il servizio di raccolta dei rifiuti speciali eventualmente prodotti anche ai rifiuti urbani. Da tale scelta potrebbero derivare benefici di natura commerciale, previa verifica della sussistenza di tutti i requisiti tecnici e professionali richiesti per la gestione dei rifiuti urbani.
In attesa di indicazioni ufficiali da parte dei Comuni, che indichino la documentazione e la modulistica da produrre per la comunicazione riguardante la scelta di affidarsi a un gestore alternativo, si suggerisce infine di:
- recuperare le planimetrie e la documentazione catastale degli edifici aziendali, distinguendo le superfici tassabili e quelle non tassabili in funzione della destinazione d’uso.
- Calcolare i quantitativi dei rifiuti urbani prodotti, che si intendono destinare all’operatore privato, suddivisi per tipologia merceologica.
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