Sono un profondo sostenitore che l’educazione delle persone a comportamenti sicuri non possa passare attraverso la minaccia delle pene o all’applicazione di provvedimenti disciplinari.
Al contrario sposo l’approccio scientifico, ormai consolidato, del Behavior Based Safety, il protocollo di sicurezza che agisce direttamente sui comportamenti delle persone sulla base di osservazioni e feedback da parte dei lavoratori stessi. Ho constatato in prima persona, in famiglia e in azienda, che il cosiddetto “rinforzo positivo” funziona e in breve tempo porta a risultati positivi inaspettati.
Tuttavia, in oltre 30 anni di indagini su infortuni mortali o gravissimi sul lavoro, ho verificato che l’interesse alla sicurezza dell’ambiente di lavoro in cui si opera scatta solo quando ormai è troppo tardi.
Infatti, spesso avviene un repentino cambiamento comportamentale dei datori di lavoro e dei dirigenti solo dopo aver subito (o nel peggiore dei casi vissuto direttamente) la perdita di un proprio collaboratore o di un dipendente di un fornitore di servizi che operava per la propria azienda.
Troppo spesso la sicurezza viene trattata in modo riduttivo in termini di singolo articolo di legge e corrispondenti sanzioni. Ecco cosa prevede l’art.26 del Decreto legislativo n.81 del 2008 per datore di lavoro e dirigente:
Se guardando la questione solo in questo modo verticale e semplicistico non sarà mai possibile fare una buona valutazione dei rischi.
Facciamo qualche esempio.
Se domani mattina, a seguito di una ispezione da parte degli organi di controllo (UPG), nella nostra azienda trovano ad operare una ditta di manutenzione degli impianti elettrici che sta lavorando in situazione di palese pericolo (perché non usano le cinture di sicurezza mentre lavorano a 4 metri d’altezza in quanto non erano stati adeguatamente formati sull’uso di D.P.I. salvavita di terza categoria), gli ispettori dell’ente di controllo possono sanzionare l’impresa committente per la violazione del primo comma dell’art 26 che recita:
“il datore di lavoro verifica, con le modalità previste dal decreto di cui all’articolo 6, comma 8, lettera g), l’idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori, ai servizi e alle forniture da affidare in appalto o mediante contratto d’opera o di somministrazione…omissis “.
Praticamente, è possibile contestare al datore di lavoro una scarsa attenzione nella scelta dell’azienda fornitrice. Anche se la carenza tecnico organizzativa nell’esecuzione dei lavori è imputabile a quest’ultima (che resta comunque passibile di sanzioni per la mancata formazione al personale), la responsabilità dell’assenza delle adeguate misure di sicurezza è comunque responsabilità dell’azienda committente (per i lavori svolti all’interno delle sue strutture).
Se a seguito della prescrizione imposta dagli ispettori, faccio la qualifica di quel fornitore, con il pagamento di un quarto del massimo della pena (5896:4= 1474 €) me la cavo e non avrò future conseguenze penali.
Facciamo ora l’ipotesi che l’accesso degli ispettori avvenga dopo che un lavoratore è caduto e si è infortunato gravemente (rischia la morte o un’invalidità permanente).
La stessa violazione del primo comma dell’art 26 è messa in nesso di causa con l’evento infortunistico (art. 590 o 589 del C.P.). A questo punto gli scenari per i vertici aziendali, (datore di lavoro e dirigenti) e per l’azienda (responsabilità civile) cambiano.
La responsabilità penale è personale, per cui gli inquirenti individueranno i responsabili dell’omissione, in base alle leggi o alle regole che l’azienda si era data. Quasi certamente saranno rinviate a giudizio per rispondere del loro comportamento
L’azienda, come già detto, dovrà, in collaborazione il datore di lavoro dell’infortunato (o chi per suo conto) concorrere al risarcimento dei danni biologici o della morte patiti dal lavoratore e alle rivalse da parte dell’INAIL (che in prima battuta provvederà nel prendersi cura i tutti i costi relativi all’assistenza e alle cure dell’infortunato o del risarcimento degli eredi per l’eventuale morte del lavoratore).
Altra conseguenza potenziale per l’azienda committente, sempre più diffusa, è la contestazione della mancata organizzazione aziendale in materia di salute e sicurezza che ha concorso nel determinare il danno al lavoratore (589 o 590 del C.P.), traendo da questa violazione un vantaggio ed un interesse.
Per spiegare meglio, questo passaggio (perfettamente calzante e congeniale alla violazione del Dlg.vo 231-01), l’azienda committente, non facendo la prequalifica del fornitore ha tratto un vantaggio economico diretto consistente nel miglior prezzo che l’offerente ha fatto (anche perché non doveva ammortizzare le spese della formazione) e vantaggio perché ha risparmiato tempo e risorse nell’appaltare il lavoro.
Le sanzioni in questo caso, in funzione della gravità delle conseguenze sull’infortunato possono portare a pene interdittive (sospensione dell’attività lavorativa per un periodo di tempo utile a rimediare) o a sanzioni amministrative che possono raggiungere centinaia di migliaia di euro.
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Sono fiducioso che questo breve intervento possa aver dato una visione più “alta” sulle conseguenze, ma prima di tutto sull’importanza delle azioni preventive che non sono e non devono mai essere viste come fini a se stesse, ma collocate in una logica etica e mirata al solo scopo di prevenire gli infortuni e tutelare la salute delle persone che ogni giorno vanno al lavoro.
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