Partendo dal principio che ogni attività produce rifiuti, le imprese e nello specifico le industrie sono tenute al rispetto di norme volte in primis alla tutela dell’ambiente da potenziali fonti inquinanti. In questo focus parleremo infatti della gestione dei rifiuti industriali.
La Classificazione dei rifiuti industriali
Il quadro normativo di riferimento per tutte le aziende è il Decreto legislativo 152/2006 (Testo Unico Ambientale), come modificato dal D.Lgs. 116/2020, decreto con cui l'Italia ha recepito due delle quattro Direttive UE (la 2018/851 e la 2018/852) contenute nel "Pacchetto economia circolare".
Alla luce della recente riforma normativa, la prima operazione che bisogna fare è classificare correttamente i rifiuti prodotti, distinguendoli in base all’origine fra rifiuti urbani e speciali e in base alla natura tra rifiuti pericolosi e non pericolosi.
Sul punto si segnalano le recenti Linee guida per la classificazione dei rifiuti del SNPA, approvate dal MITE con Decreto direttoriale n. 47 del 9 agosto 2021.
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Quali obblighi hanno le attività industriali?
Dopo aver provveduto alla corretta classificazione dei rifiuti prodotti, le attività di tipo industriale devono verificare i titoli abilitativi, richiesti ex lege, dei soggetti che si occupano del trasporto e del successivo trattamento (recupero o smaltimento) dei rifiuti.
Prima della raccolta e presso il luogo di produzione le industrie possono dotarsi di depositi temporanei in cui stoccare provvisoriamente i propri rifiuti. Il deposito temporaneo dovrà essere gestito, a scelta del produttore, secondo il criterio temporale o volumetrico, rispettando i requisiti dettati dall’art. 185-bis del D.Lgs. 152/2006. Lo step successivo è il conferimento dei rifiuti presso impianti di recupero o smaltimento.
Va precisato che è responsabilità del produttore del rifiuto verificare che l’impianto a cui si conferisce il rifiuto sia autorizzato a gestire il preciso codice CER attribuito.
Il trattamento acque reflue industriali: il quadro normativo
Anche l’eventuale scarico di acque reflue in ambito industriale segue norme specifiche. In questo ambito, la disciplina di riferimento è sempre il Testo Unico Ambientale, Parte III.
Le “acque reflue industriali” si definiscono come “qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diversi dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento” (art. 74, comma 1, lett. H del D.lgs. 152/06).
Come da definizione riportata all’art. 74 del D.lgs. 152/06, per “scarico” si intende qualsiasi immissione di acque reflue, effettuata esclusivamente tramite un sistema di collettamento, che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo recettore, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione.
Nella sostanza, gli scarichi provenienti dagli edifici o impianti in cui si svolgono attività commerciali o produttive si definiscono scarichi industriali, e comprendono oltre ai reflui provenienti da attività di produzione industriale vera e propria, anche quelli provenienti da insediamenti, ove si svolgono attività artigianali e di prestazioni di servizi, quando le caratteristiche qualitative degli stessi siano diverse da quelle delle acque domestiche.
Ne abbiamo parlato nel dettaglio qui: Trattamento acque reflue industriali.
Rifiuti industriali: come essere in compliance?
La procedura di adeguamento per essere in compliance con la normativa ambientale prevede che all’interno delle aziende ci siano soggetti preposti e formati alla gestione dei rifiuti.
Si suggerisce, inoltre, l’adozione di specifiche procedure operative, che supportino i preposti nelle varie fasi di gestione.
Secondo i principi dell’economia circolare, è opportuna la periodica valutazione degli impatti ambientali finalizzata all’ottimizzazione dei processi e al riutilizzo degli scarti di produzione, ad esempio con il riuso dei sottoprodotti.
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